Disturbi alimentari

Disturbi alimentari

Negli ultimi decenni, nel mondo occidentale, il rapporto con il cibo si è andato progressivamente complicando fino a raggiungere livelli in molti casi drammatici. Si mangia e poi ci si osserva sotto l’effetto di pressioni sociali e culturali in contrasto tra loro. Da una parte l’offerta continua e abbondante di cibi attraenti, dall’altra il culto estetico della magrezza e della forma fisica, rappresentate in immagini esasperate e condivise. Così il comportamento più naturale per qualsiasi essere vivente, mangiare, si è andato trasformando in un paradigma comune ma disfunzionale, attraverso il quale esprimere la difficoltà di vivere, la sofferenza e l’infelicità. Sono comparsi i Disturbi Alimentari come Anoressia nervosa, Bulimia nervosa Disturbo da alimentazione incontrollata.

ANORESSIA 

Il sintomo più evidente dell’anoressia nervosa è il rifiuto di mantenere il peso entro livelli adeguati all’età, dimensioni corporee, e stile di vita. Un marcato dimagrimento, improvviso o progressivo, è in genere il primo segnale indicatore del disturbo, in assenza di altre patologie organiche. Nelle donne, colpite per il 95,4% contro il 4,1% degli uomini (stime 2018 dell’Osservatorio DCA della Presidenza de Consiglio), la perdita di peso è accompagnata dalla scomparsa delle mestruazioni.

La malattia insorge con un’attenzione sempre più intensa sul proprio peso, con un forte desiderio di divenire ed essere magri. Via via questa preoccupazione cede il posto a una illogica e angosciante paura di ingrassare e all’adozione di comportamenti estremi finalizzati alla perdita di peso.

La fobia persiste anche quando il peso corporeo è così basso da rappresentare un rischio per la vita stessa e la paura di ingrassare tende a progredire quanto più la persona diventa magra. Solo il rigido controllo sull’alimentazione consente di ridurre l’ansia che assale ogni qualvolta ci si avvicina al cibo.

In genere il percorso che porta all’anoressia nervosa è quella di una dieta intrapresa con lo scopo di perdere qualche chilo in più, di migliorare il proprio aspetto fisico ritenuto in qualche modo inadeguato e di correggere quelle abitudini alimentari ritenute sbagliate e dannose. A mano a mano il cibo diventa un “sorvegliato speciale” attraverso un controllo sempre più rigido con una crescente paura di perderne il controllo che induce all’eliminazione di molti alimenti in precedenza assunti senza particolari problemi e ora identificati come ipercalorici e pericolosi: primo fra tutti “l’olio d’oliva”. La scelta cade prevalentemente su frutta e verdura, mentre carboidrati e proteine son limitati al minimo se non eliminati completamente, aumenta il consumo di bevande molto calde, a volte bollenti fino all’ustione, per contrastare il freddo, lo stimolo della fame e aumentare la sensazione di sazietà. Compaiono strategie finalizzate a evitare o allontanare l’orario del pasto, come ad esempio prendere impegni per l’ora di pranzo, rinviare il momento del pasto, preparare soltanto pietanze poco gradite. A volte il cibo può essere avvicinato solo “dopo averlo mortificato”, ad es. cibi freschi lasciati a lungo fuori dal refrigeratore in estate con la scusa di non gradire cibi provenienti dal frigo. L’insieme di tali comportamenti determina nel tempo la perdita della capacità di riconoscere gli stimoli enterocettivi della fame e della sazietà, con conseguente angoscia di fronte alle quantità delle pietanze. Nelle forme più collaborative, il soggetto tende a chiedere ai familiari se ha mangiato troppo o troppo poco e questa incapacità più generale alla misura di sé sembra essere  un nodo centrale della patologia. Quando non si è più in grado di controllare la situazione, si innesca un automatismo del pensiero “devo mangiare il meno possibile per non ingrassare” o un pensiero ossessivo su quanto esercizio fisico sia necessario, subito dopo aver mangiato, per smaltire le calorie introdotte con il cibo.

Il timore costante che, se si allenta il controllo, il peso prenderà il sopravvento fino a dimensioni inimmaginabili, si accompagna ad un progressivo sviluppo dell’attività intellettiva con sforzi estenuanti ad es. nello studio, per raggiungere risultati di eccellenza nell’intento di dimostrare a se stessi di controllare la sensazione di pericolo proveniente dal corpo con l’ipersviluppo delle abilità mentali. Spesso i genitori, non potendo cogliere il nesso patologico fra i due aspetti, tendono a pensare con un certo orgoglio compensatorio: “però almeno a scuola va benissimo”.

Mario Brunetti