Il motivo che mi ha spinto a recensire questo libro del 1986 è stato l’interesse per il collegamento che l’autrice, un’autorevole esperta del campo, traccia tra le dinamiche dell’autismo infantile e alcuni tratti autistici definiti come “barriere” presenti anche in soggetti adulti, con personalità integrata nel mondo del lavoro e delle relazioni. Infatti nelle terapie di coppia o familiari, spesso rileviamo come proprio la presenza di queste barriere, non solo abbia generato la crisi ma rappresenti anche un ostacolo importante al cambiamento necessario alla risoluzione dei problemi relazionali.
Premessa
Gli oggetti autistici rappresentano una barriera alla realtà, impedendone quella comprensione che potrebbe essere condivisa con gli altri esseri umani. Niente può entrare ma, cosa ancora più importante, niente può uscire.
Il bambino autistico riduce le cose a quello che vorrebbe che fossero, invece di vederle per quello che sono. Ma le emozioni sono tutt’altra cosa: non possono essere controllate e manipolate come se fossero degli oggetti fisici e tangibili. Pertanto gli stati emotivi o sono considerati irreali oppure vengono percepiti come elementi corporei intollerabilmente malvagi e pericolosi.
I bisogni urgenti che possono essere tollerati provocano immagini anticipatorie che preparano il bambino a ciò che deve venire, questo è l’inizio della speranza. Nello sviluppo normale, infatti, i piccoli “fallimenti empatici” da parte della madre danno al bambino l’opportunità di creare immagini anticipatorie e nuove risposte alla madre stessa. Questo processo dà luogo alla creazione della fantasia, del pensiero e delle anticipazioni. Il bambino autistico di fronte alle frustrazioni, invece di creare illusioni sane da cui nasceranno i sogni, le fantasie e le idee, inizia a manipolare oggetti autistici in modo compulsivo.
Invece di creare una valida simulazione operativa dell’oggetto, che lo renda capace di usarlo quando questo non c’è, il bambino autistico sviluppa degli artefatti vuoti che sostituiscono l’oggetto e per i quali non deve aspettare. Questi, essendo tangibili, dominati dalle sensazioni e sempre presenti, mantengono il bambino rigidamente attestato ad un livello di funzionamento mentale primitivo e iperconcreto.
Le barriere autistiche nell’adulto
La presenza di quella che l’autrice chiama una “capsula autistica” anche nell’adulto rappresenta una protezione dalla minaccia della dissoluzione in quanto ogni cambiamento di stato, comportando una riformulazione delle precedenti esperienze, costituisce una pericolosa minaccia per il soggetto protetto da barriere autistiche che con il suo stato rigido si difende dalla dissoluzione. Cambiare significa gettare ogni cosa dentro al crogiuolo e, affinché si verifichi la trasformazione, è necessario attraversare uno stato fluido. Il soggetto autistico tende a vivere il cambiamento come uno stato tutto o niente. I concetti o sono là nella loro interezza oppure vanno perduti. Egli non può sopportare lo stadio intermedio di incertezza costituito dalla progressiva trasformazione perché, se i suoi rigidi convincimenti vengono minacciati dal cambiamento, si sente irrimediabilmente frantumato, perde presto la sensazione di essere invulnerabile e la sostanza vitale minaccia di straripare.
Alcuni pazienti nevrotici hanno dei tratti in comune con i bambini autistici, si sentono irreali e percepiscono “la vita come se fosse un sogno”, una labile sensazione di esistere come individui. La loro maturazione cognitiva ed emozionale sembra essere avvenuta aggirando una zona oscura di mancato sviluppo, che poi si è trasformata in una capsula di autismo nascosta nel fondo della personalità in cui ci sono tutte le potenzialità per lo sviluppo mai portate a termine in una rappresentazione di Sé sicura e autentica. Questi soggetti non riescono mai a riprodurre con le parole la natura delle esperienze profonde ma sono altamente motivati a trovare i modi più suggestivi per farlo e ciò diventa la descrizione più verosimile che si possa ottenere da loro. Le loro malattie psicosomatiche sono spesso il tentativo di rendere manifeste queste esperienze rimaste incapsulate a livello somatico e mai arrivate ad una elaborazione mentale per immagini comunicabile con le parole.
La maggior parte degli sforzi è volta a coprire i numerosi buchi e le molteplici ferite che tormentano il soggetto. Egli vive in termini di evasioni manipolative centrate sul corpo e su artefatti associati a esperienze sensuali sulla superficie corporea, non trae sicurezza dai processi naturali e spontanei che avvengono invisibilmente e al di fuori del suo controllo. Oltre ad essere tagliati fuori dai processi rassicuranti di crescita e di guarigione, questi soggetti sono anche privati del conforto intangibile fornito dalle fantasie, dall’immaginazione, dai ricordi e soprattutto dal pensiero riflessivo.
Le pratiche artificiali tendono a coprire le naturali reazioni umane di questi soggetti che sentono di essere cose inanimate circondate da cose minacciose. Per sfuggire a queste minacce si seppelliscono nelle pratiche autistiche e oggi, che il mondo del lavoro e la tecnologia forniscono spazi inimmaginabili in passato, tendono ad entrare in ritmi forsennati di attività, lavorativa e non, dai quali dichiarano di non potersi affrancare per quello che l’attività stessa gli richiede (lavoro, sport,ecc), ma che in realtà gli forniscono una protezione continua da quel mondo emotivo e relazionale da cui si sentono minacciati.
I pazienti nevrotici con una capsula di autismo, dice la Tustin, portano in sé una vera e propria crudeltà atavica che non è mai stata modificata dalla interazione amorosa con le figure di accudimento; il riferimento a questa condizione, che oggi più comunemente sembra potersi fare, è quello alla personalità “passivo-aggressiva”.
Frances TUSTIN : ”Barriere autistiche nei pazienti nevrotici”; Borla Ed. 1986
Frances TUSTIN (Londra 1922-1996), psicoanalista britannica, è stata un’autorevole studiosa nel campo delle psicosi infantili ed in particolare dell’autismo.